“Alla punta del pennello” di Raymond Voyat in libreria

Cinque personaggi si muovono fluttuando come carpe sotto la superficie della scrittura trasparente del libro “Alla punta del pennello e altri racconti del Giappone antico”: un pittore-eremita, un attore di Nô, un’innamorata, un monaco pellegrino e un disegnatore di kimono. A queste cinque figure simboliche è affidata la voce policroma di altrettanti momenti di un Oriente magico che da sempre ha ispirato i viaggiatori, i poeti, gli artisti. Nelle pagine del libro di Raymond Voyat (1935 – 2020) edito in Italia da Besa Muci, ai lettori si offre una chiave d’accesso ad un Giappone antico, ormai lontano del tempo e ancora carismatico: in queste la realtà e il sogno, le anime dei viventi e quelle dei morti si fondono in una familiarità complice. Al di là della natura che segue i suoi cicli nei giardini di Kyôto, è la presenza attiva del Budda che fa da legame alle vicende narrate, ed è sotto il suo sguardo compassionevole che si dipanano questi racconti. I personaggi si muovono in un’atmosfera che richiama i paesaggi di Sesshū Tōyō, Itō Jakuchū, Matsumura Goshun e di altri grandi della pittura giapponese classica. Le storie narrate riannodano i fili dei miti e delle tradizioni civili e religiose di un Giappone ormai quasi del tutto scomparso e al quale Voyat ha rivolto un ultimo, appassionato, sguardo.
L’AUTORE
RAYMOND VOYAT (1935-2020), laureato in Lettere all’Università di Lausanne, studiò canto e interpretazione, specializzandosi in musica sacra e spiritual. Esecutore di melodie francesi, si esibì in lunghe tournée in Europa e in Estremo Oriente. Voyat è stato anche, e soprattutto, un poliglotta. Noto germanista, tradusse in francese opere di Novalis, Schiller e di Heimito von Doderer. Si specializzò poi nella lingua e nella letteratura e cultura giapponesi, con lunghi e frequenti soggiorni nel Paese del Sol Levante. Oltre a Au Bout de Pinceau (1990) e a Les Étangs de Niigata (1984), scrisse con Masado Koboka Aspects de la Psychologie et de l’Éducation
de l’Enfant au Japon
(1993).


LA CASA EDITRICE BESA MUCI
BESA nasce con l’attenzione rivolta a quegli ambiti letterari che sono da sempre stati penalizzati dal grande circuito editoriale: il travaglio dei Balcani, il crogiolo multietnico del Mediterraneo, la solarità transnazionale del mondo ispanico dall’Europa alle Americhe.
Punti di riferimento di un progetto che intende volgere in lingua italiana le produzioni culturali scaturite da questi grandi bacini di idee, di creatività e d’arte.
A queste letterature in continuo divenire che invocano – tanta è la loro fertilità – una riscoperta permanente o, forse, la riscoperta, Besa dedica gran parte delle sue collane, consapevole che proprio da questo universo in attivo fermento proviene il meglio delle scritture contemporanee. La casa editrice si propone, altresì, di valorizzare quelle aree di scrittura della narrativa italiana analogamente ignorate dal pubblico: proposte letterarie innovative e sovente alternative alle scuole consolidate, incluse quelle che si presentano come sperimentali o d’avanguardia. La produzione di Besa è orientata verso un rigoroso rispetto del pubblico: le opere straniere sono tutte tradotte dalle lingue originali per far sì che il lettore italiano fruisca nel modo più diretto dei valori espressivi anche di testi provenienti dalle aree linguistiche meno frequentate.
Con la propria attività Besa intende stimolare dibattiti ed iniziative nel campo della scrittura: un contesto che in nome delle nuove tecnologie è considerato quasi in via d’estinzione, mentre è molto probabile che debba ancora conoscere vaste e gratificanti affermazioni, proprio in virtù e con l’ausilio della stessa tecnologia.