Bari – BIF&ST 2025 – Alberto Barbera, Direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: lasciarsi andare alla curiosità nel nome del cinema e della sua tradizione

A raccontarci il suo personale sguardo sul vastissimo dibattito culturale, politico e sociale in cui il cinema si inserisce è stato Alberto Barbera, direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, protagonista dell’Incontro di cinema di questa mattina al Teatro Petruzzelli, nell’ambito del Bif&st 2025, prodotto dall’Apulia Film Commission, con il sostegno della Regione Puglia, e diretto da Oscar Iarussi. Prima dell’incontro c’è stata la proiezione di Le mani sulla città di Francesco Rosi, che nel 1963 vinse il Leone d’Oro a Venezia. Una pellicola complessa, dalla modernità assoluta, “una specie di saggio di educazione civica”, ha esordito Barbera.

“Rosi è stato un grandissimo regista, sociologo in qualche modo, le sue inchieste sono modelli di ricerca e approfondimento della realtà incredibili. Con lui è nato il cinema politico, caratterizzato da una forza di rappresentazione unica. Nessuno dei suoi film è invecchiato” – ha spiegato il direttore -. Il cinema italiano degli anni Sessanta, infatti, è stato il secondo cinema al mondo (dopo quello americano) in termini di penetrazione e successo internazionale. Tuttavia, non è mai stato un flusso costante di qualità e successo, procedendo a vicende alterne. Rispetto al cinema di oggi Barbera ha spiegato che vi sono elementi che fanno sperare per un buon futuro del nostro cinema, citando registi come Matteo Garrone e Paolo Sorrentino, e la nuova leva di produttori che stanno favorendo una rapida ripresa della produzione nazionale.  

Quella di Alberto Barbera è una passione nata prestissimo, frequentando il cinema parrocchiale dove lavorava suo zio come cassiere. Per affermarsi in un mondo ampio quanto quello della cultura, però, ci vuole dedizione, talento, ma anche molta fortuna. “Il primo colpo di fortuna – ha raccontato – è arrivato quando la Gazzetta del Popolo, quotidiano di Torino, mi assunse come critico cinematografico, cento lire al mese per due anni. Il secondo, invece, nel 1982, quando il capoluogo piemontese decise di finanziare il festival cinematografico, responsabile dell’ufficio stampa il primo anno, direttore nel 1989”.

Un passaggio poi sul ruolo di direttore di festival cinematografici. “Il lavoro di selezione di film per un festival è anch’esso un gesto critico. Suggerisco di guardare di tutto, lasciarsi andare alla curiosità. Io ad esempio avevo pregiudizi sul western, e poi è diventato il mio genere preferito”.

Commentando invece la svolta digitale dell’audiovisivo e il ruolo dei social network, il critico e direttore si mostra positivo, in quanto ha permesso a tanti autori di emergere e dar voce al proprio punto di vista; inoltre, ha fatto aumentare la produzione in modo esponenziale. Esempio ne è la stessa produzione seriale, forma narrativa che nella sua coesistenza con il cinema ha dato luogo a un continuo scambio prolifico.

Ha concluso: “La passione si autoalimenta; ritorna l’emozione di vedere un film che coinvolga sia con la testa sia con lo stomaco. Quando ci si innamora di qualcosa è difficile che l’amore venga meno”.

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