Bari – BIF&ST 2025 | Sergio Rubini: la potenza del cinema per la nostra terra e il mestiere dell’attore

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È stato l’attore, sceneggiatore e regista Sergio Rubini il protagonista dell’Incontro di cinema di questa mattina al Teatro Petruzzelli per il Bif&st 2025. Dopo la proiezione del film “Il viaggio della sposa” e il cortometraggio “La tela”, Rubini ha sottolineato la felicità di essere ritornato a casa, nella terra che si è sempre premurato di raccontare, a partire da “La stazione”, quando il suo amico e produttore Domenico Procacci, nel 1989, gli propose di fare il film.

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Rubini ha esordito: “A inizio 2000, a luglio, sulle spiagge salentine non c’era nessuno per girare un film. Oggi la nostra realtà è cambiata. Tra tradizione, storia e paesaggi, la Puglia dovrebbe fare da modello.”

Il regista originario di Grumo Appula insegue da tempo il desiderio di federare l’Europa unendola in un’unica tela, sotto la bandiera dell’arte. Il messaggio che intende trasmettere è proprio quello di investire nel cinema, nella musica e nella buona cucina, capaci sì di risollevare l’economia ma soprattutto di rimettere al centro delle priorità l’essere umano. “La forza del cinema è che non ha confini. Ciò che crea barriere e produce paura è l’ignoranza. La conoscenza unisce, dovremmo puntare sulla cultura: il nostro vero patrimonio” – ha detto. Fondamentale, secondo Rubini, è l’importanza delle parole e il peso che esse hanno nel raccontare la nostra storia. Il regista non si preoccupa che l’intelligenza artificiale possa sostituire sceneggiatori e scrittori e a tal proposito ha sottolineato: “Un algoritmo potrà generare solo un pubblico di algoritmi – e ha continuato – Bisogna difendere le sale cinematografiche e gli spazi della socialità come i festival che, a causa dell’isolamento generato dalla tecnologia, sono in crisi. Il mondo globale, in continua evoluzione, ci impone di sapere e ricordare chi siamo per non diventare altro.”

Rubini crede, inoltre, nell’essenza dialettica del cinema. Secondo il regista e attore, il cinema è il veicolo migliore per diffondere un messaggio culturale, a confronto la serialità televisiva è considerata un animale da compagnia. “Le serie che continuano all’infinito non spingono a riflettere. È nella conclusione di una storia che si manifesta il suo significato, per questo il linguaggio cinematografico va salvato perché salva noi.”

All’inizio della sua carriera di attore Rubini lasciava sviluppare i suoi spunti agli sceneggiatori. Trovandosi per la prima volta di fronte alla pagina bianca, due anni dopo “Il viaggio della sposa”, la vita di Rubini cambia profondamente. In concomitanza con la carriera da sceneggiatore inizia un percorso di psicanalisi che paragona alla scrittura: entrambi sono un dilaniante viaggio interiore, ma anche un atto profondamente intimo in cui autenticamente mettersi a nudo. Nel descrivere il suo rapporto con gli attori, Rubini ha citato la scena shakespeariana in cui Rosencrantz e Guildenstern pretendono di poter trattare Amleto come uno strumento da suonare. “Un essere umano è più complesso di un legno con quattro buchi. Gli attori sono fatti di ossa, dolori, aspirazioni, sono strumenti che non sappiamo suonare. Se pensiamo di trattare gli attori come strumenti senza tenere conto della loro anima, otterremo come risultato delle note stonate”.

La difficoltà nel mestiere dell’attore per Rubini “è quella di dover imparare a disimparare e tenere viva l’inesperienza, definendolo un processo logorante in cui l’attore non guida mai, ma è sempre guidato da uno sconosciuto”. Il regista ha concluso: “Essere un attore, come un prete o uno psicanalista, significa sospendere il giudizio e accogliere il personaggio nella luce delle sue motivazioni”.

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