Galatone – NASCE LO ZAFFERANO DEL GALATEO, IL RITORNO DELL’ORO ROSSO NEL SALENTO

Dal sogno di Antonio Inguscio a Galatone, un progetto che unisce

agricoltura, storia e innovazione gastronomica

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Nel cuore del Salento rinasce una coltura antica: lo zafferano. Grazie alla visione e alla passione di Antonio Inguscio, prende vita il progetto “Lo Zafferano del Galateo”, ispirato agli scritti di Antonio De Ferraris, detto il Galateo, che già nel XV secolo testimoniava la diffusione del croco salentino nel suo celebre De Situs Japigiae.

Lo zafferano: memoria storica e identità salentina

Intorno al 1400, lo zafferano era ampiamente coltivato in Terra d’Otranto, tra Lecce, Galatina, Cutrofiano, Maglie, Porto Cesareo, Oria, Grottaglie e Nardò, sede del grande Mercato Annuale. Oggi, attraverso il lavoro di Antonio Inguscio, questo patrimonio agricolo e culturale torna a vivere a Galatone, con la stessa cura e autenticità di un tempo: raccolta manuale, stimmi puri, attenzione alle fasi lunari e rispetto dei ritmi della natura.

Innovazione: gelato ed Elisir del Galateo

Dalla collaborazione con il mastro pasticcere Natale, nasce il primo gelato allo zafferano salentino, una creazione che unisce artigianalità dolciaria e sperimentazione culinaria. Un’esperienza sensoriale unica che trasforma l’oro rosso in una delizia fredda tutta da gustare. Il gelato esalta le proprietà aromatiche e benefiche di questa preziosa spezia attraverso una formulazione innovativa. Accanto a questa novità, prende vita anche l’Elisir del Galateo, liquore raffinato che custodisce l’essenza dello zafferano in stimmi, raffigurato dal pavone, simbolo di rinascita. Dal profilo aromatico deciso il processo di infusione naturale preserva le note intense e dorate della spezia. In sperimentazione anche una bevanda di latte di mandorla aromatizzata con lo zafferano salentino.

Un rito agricolo che diventa esperienza

La coltivazione dello zafferano segue rituali antichi: la semina a settembre, in corrispondenza delle fasi lunari, e la raccolta a mano, che avviene in un solo giorno e trasforma i campi in tappeti di fiori viola dal profumo intenso. Un momento unico, che il progetto intende aprire a esperienze dal vivo, con percorsi didattici e turistici capaci di far rivivere lo stupore della natura.

Gusto e memoria

“Ho voluto far rivivere una pagina dimenticata della nostra storia agricola – spiega Antonio Inguscio –. Lo zafferano del Galateo è identità, cultura e innovazione: un prodotto che racconta il Salento non solo attraverso il gusto, ma attraverso la sua memoria più autentica. La lettura di De Situs Japigiae insieme al professor Vittorio Zacchini, tra i maggiori esperti della produzione letteraria di Antonio Ferraris, mi ha portato a scoprire che nei Campilatini citati c’era anche contrada Orelle a Galatone dove insiste il mio uliveto. Ho immaginato di tornare nei campi e ritrovare il prezioso fiore di zafferano e dopo alcuni tentativi siamo riusciti a completare il ciclo produttivo restituendo la bellezza del paesaggio”.

Proprietà e benefici dello zafferano

Lo Crocus Sativus, oltre al suo valore gastronomico, è ricco di elementi nutritivi e principi attivi: beta-carotene, vitamine del gruppo B e sostanze con effetti benefici sul benessere dell’organismo. Utilizzato da secoli nelle tradizioni mediche naturali, rimane ancora oggi una spezia preziosa per le sue proprietà salutari.

La Borsa dello Zafferano di Nardò

A cavallo tra Quattrocento e Cinquecento la produzione di zafferano pugliese si aggirava mediamente intorno alle 20-25 some, pari al 5% della produzione annuale europea che ammontava a circa 500 some. Spagna, Italia e Francia erano i principali produttori, con poco meno di un terzo ciascuna. Tenendo presente che una soma corrisponde a 15,822 kg, la Puglia produceva quindi oltre 36 quintali annui. Dalla pratica commerciale dei mercanti tedeschi Baumgartner si apprende che il quantitativo ricavato annualmente dalle coltivazioni in Terra di Bari variava tra le 4.000 e le 5.000 libbre, mentre in Terra d’Otranto tali quantitativi erano quasi doppi, oscillando, a seconda dell’annata, tra le 8.000 e le 9.000 libbre. Il prodotto pugliese migliore era quello di provenienza da alcune località della Terra d’Otranto, spesso menzionate nei resoconti dei mercanti tedeschi”. È quanto scrive Vito Ricci nel suo saggio Produzione e commercio dello zafferano in Terra di Bari tra XV e XVI secolo.

Le notizie storiche riguardanti la fiera di Nardò e il suo ruolo nel commercio dello zafferano si devono invece a Marcello Gaballo, presidente della Fondazione Terra d’Otranto, che ha ricostruito con ampiezza di documentazione la lunga tradizione mercantile della città e i privilegi economici ad essa connessi.

In questo scenario Nardò si affermò come una vera “Borsa dello Zafferano” durante la Fiera dell’Incoronata, divenuta nel tempo uno dei principali motori economici della città e dell’intera Terra d’Otranto. Lo zafferano era l’unico prodotto il cui prezzo veniva ufficialmente fissato e regolato nel grande mercato annuale, facendo della fiera un punto di riferimento commerciale per tutto il Mezzogiorno e per il Mediterraneo orientale.

Nota anche come “Fiera delle Spezie”, si teneva fin dal Medioevo in concomitanza con le antiche Nundinae, inizialmente davanti alla chiesa di Santa Maria della Carità, nei pressi del tempietto dell’Osanna, e dal 1599 davanti alla chiesa di Santa Maria Incoronata, fuori dall’abitato. Qui si svolgeva per otto giorni consecutivi, tra la fine di luglio e il primo sabato di agosto, concludendosi con la tradizionale Cavalcata.

Sin dai tempi di Ruggero I e poi con il privilegio concesso da re Ferrante d’Aragona nel 1480, la fiera godeva dell’esenzione dalle tasse e dalle gabelle (“la franchezza di octo giorni”), un vantaggio che garantiva un enorme afflusso di mercanti, artigiani e compratori da tutto il Regno di Napoli e da regioni più lontane. Il volume d’affari generato in quei giorni era notevolissimo e la città traeva un diretto beneficio economico, grazie al movimento di capitali, al commercio all’ingrosso e all’indotto legato all’ospitalità e ai servizi.

La fiera offriva inoltre un ampio mercato di spezie, stoffe, utensili, prodotti artigianali e generi di largo consumo. Gaballo documenta, attraverso numerosi atti notarili, la coltivazione dello zafferano nel territorio di Nardò tra Cinque e Seicento e gli scambi di grande interesse anche con mercanti umbri, che giungevano per vendere panni di lana e ripartivano con merci locali di pregio. Testimonianza indiretta di tali relazioni economiche sono alcune tele dei primi decenni del Seicento, oggi custodite ad Atri di Cascia, dipinte da artisti neritini come Ortensio Bruno e Donato Antonio D’Orlando.

A sovrintendere alla fiera vi era il “mastro della fiera”, scelto tra gli ecclesiastici, incaricato di vigilare sulle contrattazioni e sul controllo dei prezzi. La comunità degli Agostiniani, che risiedeva accanto alla chiesa dell’Incoronata fino alla soppressione del 1809, contribuì a mantenerne viva la notorietà. Ma soprattutto, grazie agli interessi dell’Università di Nardò, cui spettava lo jus ferae, la città godeva di un significativo ritorno economico, segno di una prosperità che fece dello zafferano uno dei simboli del suo sviluppo mercantile.