
Cia Puglia: “Siamo all’assurdo, stesse quotazioni di 10 anni fa: 31 euro al quintale oggi come allora”
Il rischio è che in pochi anni la produzione italiana del cereale di punta crolli come fu per le barbabietole
Tutto questo avviene mentre i prezzi di pasta e pane sono cresciuti rispettivamente del 35% e del 53%
FOGGIA. Maggio 2015-Maggio 2025: sono passati 10 anni, ma alla Borsa Merci di Foggia le quotazioni del grano duro di oggi sono le stesse di allora. Il 29 aprile 2015, il fino venne quotato 305-310 euro alla tonnellata; il 30 aprile 2025, il valore di scambio riconosciuto al fino è di 310-315 euro. A dieci anni di distanza, con gli attuali costi di produzione considerevolmente superiori, ai produttori di grano duro italiano viene corrisposta la stessa cifra, nel frattempo la pasta è aumentata del 35% col prezzo medio passato da 1,20 euro al chilo nel 2015 a una media di 1,62 nel 2025. Per non parlare del pane, il cui costo medio è passato da 2,75 a 4,20 euro al chilo, con un aumento del 53%. Angelo Miano, presidente di CIA Agricoltori Italiani per la provincia di Foggia: “Da un lato i prezzi sempre più bassi del grano italiano e, dall’altro, i costi di produzione sempre più alti stanno portando al collasso la nostra cerealicoltura”. “Se contro il nostro grano è in atto una guerra commerciale, con l’incremento delle importazioni da Paesi extra Ue, come la Turchia, allora è bene che anche noi introduciamo i dazi per proteggere e valorizzare le nostre produzioni”, aggiunge Miano, “rischiamo seriamente di soccombere contro la crescente importazione senza controlli. È del tutto evidente che questa battaglia commerciali ci vede disarmati. Senza le misure di Granaio Italia, il nostro Paese non ha nessuno strumento contro la concorrenza sleale. Per giunta, nonostante la carenza di prodotto nazionale e la continua richiesta da parte dei consumatori di prodotti 100% italiani, le quotazioni dei cereali sono sempre più mortificanti per gli agricoltori”. Gennaro Sicolo, presidente regionale e vicepresidente nazionale di CIA Agricoltori Italiani: “Come in una guerra, stiamo perdendo terreno, con le semine ai minimi storici si rinuncia a seminare grano, e quindi aumenta la dipendenza dall’estero. Serve maggiore trasparenza sui mercati e il riconoscimento dei costi ai cerealicoltori italiani. Serve maggiore tracciabilità, così come è necessario uno strumento che certifichi i costi di produzione per definire, in modo chiaro, anche i termini di contrattazione”. La rinuncia alle semine, un dato costante negli ultimi anni, potrebbe crescere in modo esponenziale qualora i prezzi riconosciuti ai produttori dovessero essere tenuti artificiosamente bassi per molto altro tempo. Il rischio è che in pochi anni la produzione del cereale di punta crolli come accadde per le barbabietole.
“Occorre un intervento concreto del Governo. Bisogna fermare subito questa scellerata spirale al ribasso. Le conseguenze economiche e occupazionali sono insostenibili, ma a perderci alla lunga sarà l’intera filiera italiana grano-pasta, compresi i consumatori, poiché saremo sempre più dipendenti dal grano estero che ha standard qualitativi e di sicurezza nettamente inferiori. Spesso si tratta di grano estero di dubbia provenienza, con ‘triangolazioni’ poco chiare da Paese a Paese nel percorso che conduce i carichi qui in Italia. Oggi il valore riconosciuto al grano italiano non copre nemmeno i costi di produzione. Le importazioni massicce, lo squilibrio lungo la catena di filiera a tutto svantaggio dei produttori, la crescita dei costi di produzione, la siccità e le croniche lacune infrastrutturali stanno mettendo a serio rischio la nostra cerealicoltura. I consumatori – conclude Sicolo – scelgano solo pasta realizzata interamente con grano italiano”.
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