Lou Dematteis, Five from one // Opening 19 luglio 2023 / Al Castello Volante di Corigliano d’Otranto (Le) la mostra antologica che celebra il lungo viaggio attraverso il reale del fotoreporter italoamericano

LOU DEMATTEIS, FIVE FROM ONE

Al Castello Volante di Corigliano d’Otranto (Le) la mostra antologica che celebra

il lungo viaggio attraverso il reale del fotoreporter italoamericano

All’interno del percorso espositivo Visioni del Sud

della XX Festa di Cinema del reale e dell’irreale

19 luglio / 19 ottobre 2023

Vernissage 19 luglio 2023 alla presenza dell’autore

A questo link la cartella foto

Cinque Paesi, migliaia di chilometri attraverso i luoghi caldi del Pianeta dove “la storia accade” e la galassia di volti, comunità, luoghi celebri o dimenticati che danno corpo al racconto del mondo. Un viaggio lungo oltre quattro decenni alla scoperta del reale, dai quartieri suburbani di San Francisco ai villaggi del Nicaragua, del Vietnam, dell’Ecuador, passando per i “luoghi delle radici” in Italia.

È questo il viaggio del fotoreporter statunitense di origini italiane Lou Dematteis, raccontato nell’antologica “Five From One. Cinque paesi, cinque storie” a cura di Claudio Domini e Paolo Pisanelli con l’allestimento di Francesco Maggiore. La mostra si inaugura il 19 luglio 2023 alle ore 19 nella Sala Tabaccaia del Castello Volante di Corigliano d’Otranto alla presenza dell’autore, e resterà visitabile sino al prossimo autunno.

Five From One” è realizzata nell’ambito del percorso espositivo “Visioni del Sud” che accompagna la XX edizione della Festa di Cinema del reale e dell’irreale. La mostra presenta per la prima volta insieme cinque diverse serie di fotografie da altrettanti luoghi del mondo (Italia, Vietnam, Ecuador, Nicaragua, California), realizzate da Lou Dematteis dal 1972 al 2003, durante l’intero percorso della sua carriera professionale, per un totale di circa cento scatti rappresentativi.

“Five from one” si inserisce nel focus che la Festa di Cinema del reale e dell’irreale 2023 dedica a De Matteis, ospite speciale di quest’anno, il quale comprende diverse proiezioni di lavori documentaristici firmati dall’autore o di cui è il protagonista.

Tra questi, il recentissimo documentario “I Was There When… My Photo Helped Expose the CIA Coverup of the Iran-Contra Affair” (2023) in cui Gabriela Dematteis, figlia di Lou e videomaker per Vice Media, racconta la foto più famosa di suo padre, quella che riuscì a rivelare al mondo in modo inequivocabile il coinvolgimento dell’amministrazione Reagan nella “sporca guerra” contro la rivoluzione Sandinista in Nicaragua (il lavoro gli valse una menzione al World Press Photo e l’inclusione nella selezione delle foto dell’anno del “New York Times” e della National Press Photographers Association.

Di Dematteis sono invece “Keeper on the fire” (2021) che segue lo scrittore Alejandro Murguia sulle orme dei poeti beat, e “Crimebuster: a son’s search for his father” (2010), un ritratto del padre, procuratore distrettuale e giudice della corte suprema che spese la sua vita a combattere la criminalità. una figura ingombrante per il figlio Lou.

La mostra è uno degli eventi espositivi della la Festa di Cinema del reale e dell’irreale, il festival che da vent’anni promuove il documentario e gli sguardi sulle realtà del mondo attraverso le arti audiovisive, e anticipa in parte il progetto “A journey back. Un viaggio di ritorno”, la grande esposizione che verrà inaugurata il 6 dicembre 2023 al Museo Trastevere di Roma, dedicata esclusivamente agli scatti realizzati da Dematteis dal 1972 al 1980 durante i suoi “viaggi delle radici” in Italia.

Dal testo critico di Claudio Domini:

Louis Frank Dematteis (Palo Alto, 1948) appartiene a una generazione di fotoreporter formatosi sicuramente sulla scorta della fondamentale lezione di “Life Magazine” e della Magnum Photo, di grandi autori come Robert Capa, Henry Cartier-Bresson, Werner Bishof, David Seymour, Margareth Bourke-White, e come questi formalmente strutturali, ma anche ben consapevoli del ruolo politico che la complessa società che usciva dagli anni Sessanta richiedeva loro, in quanto testimoni diretti ed emotivamente coinvolti in ciò che documentavano.

Sono gli anni della “sporca guerra” del Vietnam, che per Lou Dematteis sarà anche occasione di sofferto scontro con il padre, famoso procuratore distrettuale e uomo d’ordine, che mal digerisce il rifiuto del figlio ad arruolarsi in quella che ritiene una aggressione gratuita al popolo vietnamita. Sono gli anni in cui le fotografie, pubblicate sui magazine o diffuse dalle reti televisive, sono capaci di incidere pesantemente sulle coscienze collettive, e il lavoro stesso del giornalista, che scriva o fotografi, incarna un ruolo di vigilanza del rispetto dei diritti e di denuncia dei soprusi.

L’intera carriera di Dematteis è segnata da questo atteggiamento, fin da quando, italoamericano di terza generazione, riesce nel 1972 a visitare la patria dei suoi nonni, partiti da Montezemolo, piccolo villaggio al confine tra Piemonte e Liguria. È proprio in Italia, che sarà nuovamente meta dei suoi “viaggi di ritorno” per altre tre volte, nel 1977, 1979 e 1980, che Dematteis scopre la propria vocazione fotogiornalistica, e inizia a documentare la realtà con l’occhio indagatore dell’antropologo e la passione politica del militante, che lo vedono anche, a volte, incrociare la strada di fotografi ancora più connotati in senso politico, destinati a futura fama, come Tano d’Amico, e come lui si cimenta sui soggetti socialmente rilevanti come la controcultura giovanile, la lotta politica, la vita in fabbrica, il lavoro nero. Ma sono soprattutto le persone quelle che interessano a Dematteis, persone che lavorano, si riposano, manifestano, si divertono, si offrono alla macchina fotografica con serenità e fierezza, quasi consapevoli di essere tasselli di un mosaico che sta prendendo forma lentamente e che, una volta completato possa essere capace di dare conto di un tempo e un luogo preciso, che non c’è più, se non nella memoria delle persone e nelle immagini che ne restituiscono l’essenza.

È lo sguardo di un giovane americano, di idee radicali e in conflitto con le scelte politiche del suo Paese, che cerca risposte nelle sue origini anagrafiche, al cospetto di una cultura e di un contesto politico-sociale profondamente differente da quello di provenienza.

I luoghi e i volti lungamente immaginati durate i racconti dei nonni prendono finalmente vita propria e la fotografia diventa lo specchio attraverso cui penetrare in un Paese delle meraviglie, in cui l’immaginario romantico e la cruda realtà provano ad allinearsi nella frazione di secondo dello scatto fotografico.

Dalla seconda metà degli anni Settanta Dematteis diventa a tutti gli effetti un professionista della fotografia, ingaggiato dalla celebre agenzia di stampa Reuters New Photo, per cui documenta quotidianamente la vita sociale e culturale negli Stati Uniti. Dal 1985 è in Nicaragua a coprire un’altra “sporca guerra”: quella che l’amministrazione Reagan ha segretamente condotto, all’insaputa del Congresso, a favore dei Contras (la Guardia civil dell’ex dittatore Somoza), nel tentativo di rovesciare gli esiti della rivoluzione Sandinista. Ed è proprio una sua fotografia, quella che immortala il mercenario statunitense alle dipendenze della CIA Eugene Hasenfus, catturato dai sandinisti dopo l’abbattimento dell’aereo che trasportava rifornimenti dagli Stati Uniti destinati ai controrivoluzionari di Somoza, a rivelare al mondo, in modo inequivocabile, che gli USA sono coinvolti segretamente e indebitamente nel conflitto interno di uno stato sovrano. È la “pistola fumante” tanto cercata dalla stampa mondiale, per dimostrare le menzogne di Reagan e del suo governo, e l’immagine fa immediatamente il giro del mondo, sollevando uno scandalo epocale e costringendo di lì a poco l’amministrazione statunitense ad abbandonare il programma di aiuti volti a destabilizzare l’indipendenza del Centroamerica. La fotografia è valsa a Dematteis una menzione al World Press Photo l’inclusione nella selezione delle foto dell’anno del “New York Times” e della National Press Photographers Association.

Nel 1992, a distanza di vent’anni del suo possibile diretto coinvolgimento come soldato, Dematteis si reca in Vietnam, che in quegli anni ha appena riaperto le proprie frontiere dopo l’isolamento post bellico imposto dagli Stati Uniti, ma anche volontariamente adottato dal regime locale. Lì fotografa la nuova società vietnamita, in bilico tra tradizioni millenarie e permeabilità alle nuove mode occidentali, da cui ricaverà un bellissimo fotolibro, “A portrait of Vietnam”, con prefazione di Oliver Stone e una mostra che apre il nuovo secolo.

Poi è ancora il centroamerica a chiamarlo in causa, come testimone delle lotte delle popolazioni amazzoniche sul versante equadoregno, devastate dalla spaventosa condotta della compagnia petrolifera Texaco (diventata poi Chevron), responsabile dell’inquinamento e della morte di centinaia di persone innocenti. Anche da questa esperienza ricaverà una mostra e un ricco volume, che accoglie anche le immagini della fotografa Kayana Szymczak, con il titolo di “Crude reflections/Cruda realidad”.

Di diverso registro è la serie “Lowriders”, realizzata sulle strade del Mission District di San Francisco tra il 1979 e il 1980, e dedicata alle scorribande notturne dei cultori delle automobili con sospensioni modificate (dette appunto lowrider), che gli conferiscono un andamento molleggiato e ondeggiante, e che costituiscono il must di una parte della cultura delle gang, specialmente di provenienza ispano-americana, e che caratterizzano il paesaggio urbano statunitense.

Le cinque diverse storie che costituiscono la mostra, diverse tra loro per provenienza, impatto, motivazioni, sono tuttavia unite da una forza ben precisa, quella del racconto, liberato da virtuosismi inutili e da formalismi accademici, che attinge direttamente alla strada, alle persone, attraverso i loro volti e i loro corpi, per testimoniare valori di resistenza all’ingiustizia, alla miseria, alla guerra, o anche solo al tempo che passa inesorabile e che, grazie alle immagini di Lou Dematteis, rimane sospeso davanti ai nostri occhi a mostrarci la realtà delle cose, in bilico tra com’è e come vorremmo che fosse.

Quotes: Dematteis sull’importanza dei viaggi in Italia per la sua fotografia

Riferendosi alle immagini più “politiche” scattate in Italia durante i primi due viaggi – le manifestazioni operaie, l’occupazione dell’Università La Sapienza, le scritte sui muri in ricordo di Giorgiana Masi –Lou ricorda:

«Per me sono state uno stimolo visivo talmente forte che mi hanno spinto a voler fare della fotografia la mia professione».

Invece all’Istituto di Cultura Italiana di New York si sono sempre rifiutati di mostrare per il ritratto “scomodo” che fornivano dell’Italia:

«Non abbiamo niente di visivamente così forte negli Stati Uniti, in Italia ho capito che la fotografia mi avrebbe permesso di esprimere la mia creatività, e poi c’è l’altra parte, la politica, la fotografia mi permetteva di essere davvero parte del mondo, di essere coinvolto. Uno stimolo che ho sicuramente preso da mio padre che ha sempre considerato fondamentale guardare al quadro completo e non pensare mai solo a se stessi».