Paese che vai, formaggio che trovi In attesa di Cheese dal 19 al 22 settembre a Bra (Cn) alcuni itinerari per scoprire la ricchezza casearia dell’Italia

photo Davide Greco – Archivio Slow Food
Paese che vai, formaggio che trovi. Se cambiamo la parola usanza con formaggio nel noto proverbio, non ci allontaniamo molto dalla realtà. Perché l’Italia presenta un patrimonio caseario unico: ogni zona ha le sue varietà, legate al territorio, alle tradizioni locali e ai metodi di produzione specifici. In molti casi, usanze e formaggi si confondono. Con soli tre ingredienti – latte, sale e caglio – il nostro Paese dà vita a circa 500 formaggi diversi (almeno quelli censiti) tra di loro per sapori, consistenza e stagionatura.  

Questa interpretazione del detto, quindi, non celebra solo la straordinaria diversità dei formaggi italiani, ma evidenzia anche il legame profondo tra cibo e territorio, tra cultura e produzione casearia. Ogni formaggio racconta una storia unica, quella del suo pascolo di origine. E quindi quando visitiamo un luogo, viviamolo davvero anche attraverso le sue specialità gastronomiche, partendo proprio da quelle casearie. Alcune poco conosciute, perché hanno un raggio di commercializzazione per le loro caratteristiche, vedi i formaggi freschi, che non va oltre il luogo di produzione e devono essere assaggiati sul posto, altre possono essere anche oggetto di un ricordo estivo da portare a casa.   Iniziamo questo viaggio, che non vuole essere esaustivo, richiederebbe molte pagine, ma semplicemente trasmettere piccole suggestioni estive, facendoci guidare dai formaggi presenti nei numerosi itinerari del progetto Slow Food Travel. Molti di questi, dal 19 al 22 settembre, saranno tra i protagonisti di Cheese 2025, l’evento internazionale dedicato ai formaggi a latte crudo organizzato da Slow Food e Città di Bra.  

Le Valli del Natisone e del Torre e i formaggi da prato stabile Partiamo dalle Valli del Natisone e del Torre: nell’estremo nord-est d’Italia, si incontrano due grandi culture europee e vive una comunità che ha saputo custodire saperi e usanze antiche, tramandate da generazioni. Ci troviamo a metà strada tra due mondi: da un lato quello che gravita intorno a Cividale del Friuli, città Unesco, capitale romana che ha dato il nome all’intera regione e primo regno longobardo d’Italia; dall’altro quello della valle dell’Isonzo, nelle Alpi Giulie, teatro della disfatta di Caporetto durante la Prima guerra mondiale, diventata oggi il polo più importante del turismo green della Slovenia. In questa zona incontaminata si possono assaporare formaggi da prati stabili come il Latteria San Canziano che ci propone Elisa Manig, che ha la sua azienda lungo il Natisone, precisamente a San Pietro. Elisa, come tutti i produttori che hanno aderito al progetto dei prati stabili, oltre a produrre formaggi straordinari, custodisce la biodiversità del territorio.  

Bergamo e le valli del formaggio Il titolo della prossima proposta, Bergamo e le valli del formaggio, non lascia dubbi: oltre la città, questo itinerario è caratterizzato da paesaggi alpini e dall’arte casearia. Al centro del lavoro sul territorio e del mantenimento della sua biodiversità agricola c’è la tutela delle razze autoctone, ancora oggi allevate e valorizzate: la Capra Orobica e la Bruna Alpina Originale, insieme alla Pecora Gigante Bergamasca. Tra i numerosi formaggi da scoprire, l’Agrì di Valtorta, prodotto in un piccolo centro della Val Brembana di circa 300 abitanti. Nella locale latteria cooperativa, si produce questo piccolo formaggio cilindrico di latte vaccino intero a pasta cruda, Presidio Slow Food. Da non perdere anche il formaggio tipico Branzi, a pasta semicotta, considerato uno dei principi delle Orobie: tra le produzioni più antiche delle valli, nato dall’omonimo paese dell’Alta Valle Brembana dove tuttora il latte intero di vacca viene lavorato secondo tradizione.  

Le montagne biellesi e burro a latte crudo dell’alto Elvo Spostandoci in Piemonte raggiungiamo le Montagne biellesi, un territorio dalla straordinaria varietà paesaggistica: dalla Serra Morenica di Ivrea a ovest fino alla selvaggia Valsessera a est, attraversando le valli Elvo, Oropa, Cervo e Strona. Una mano aperta accoglie chi arriva a Biella, simboleggiando le cinque valli che definiscono il territorio. Uno dei prodotti più caratteristici di queste zone è il burro a latte crudo dell’alto Elvo, Presidio Slow Food, ottenuto dall’affioramento della panna dal latte conservato nel tradizionale fraidél, un piccolo fabbricato in pietra attraversato da acqua sorgiva che caratterizza gli alpeggi della valle. Dal latte scremato viene prodotta anche la toma magra (tùma), anch’essa a latte crudo, con aromi intensi di flora alpina e una consistenza caratteristicamente elastica.  

La misteriosa Genova e i formaggi della razza Cabannina Leggermente più a sud troviamo l’itinerario di Slow Food Travel dedicato alla misteriosa Genova e il suo affascinante entroterra. Il territorio genovese è da sempre crocevia di culture, merci, persone, ingredienti, profumi, sapori e idee. Questo intreccio ha forgiato uno stile di vita unico, che si percepisce sia sul mare che sulla sommità delle alture, alle quali fanno da contraltare le strette valli scavate dai rii e i caratteristici caruggi dei borghi della città. Oltre ai conosciuti pesto, focaccia e farinata, anche il formaggio merita attenzione. Al centro c’è la Cabannina, razza autoctona che prende il nome dalla piana di Cabanne. Dal suo latte si ricava una ricotta stagionata (il sarazzu) e diversi formaggi a latte crudo, senza l’uso di fermenti: la prescinsêua, tradizionale cagliata genovese (fresca o stagionata), la formaggetta (da consumare dopo 15 giorni) e l’u cabanin (che stagiona 120 giorni).  

Il Valdarno superiore e l’abbucciato aretino Lasciamo la Liguria per trasferirci nella vicina Toscana e in particolare nel Valdarno superiore, una valle dove si respira il tempo passato: dagli insediamenti romani ed etruschi, ai secoli del Medioevo e del Rinascimento con le contese tra Arezzo e Firenze, terra di accoglienza e passaggio per i pellegrini. Anche qui spicca un formaggio distintivo: l’abbucciato aretino, pecorino a pasta morbida, prodotto con latte crudo, che prende il nome dalla crosta spessa, elastica e con un’unghia piuttosto marcata su tutto il bordo. La mancata pastorizzazione del latte preserva le qualità gusto-olfattive: il sapore è dolce, con finale leggermente amaro e pungente.  

Il Gran Sasso e il canestrato di Castel del Monte Nel nostro viaggio non poteva mancare il parco del Gran Sasso. Conosciute anche come le terre della Baronia, queste aree sono plasmate da un’antropologia antica legata alla pastorizia. I prodotti locali, così come i piatti tipici, arrivano da una storia di scambi di prodotti con altre comunità e culture, come quelli generati dagli infiniti e lunghissimi viaggi di transumanza di pastori e greggi verso il tavoliere delle Puglie. Tra i formaggi spicca il canestrato di Castel del Monte: ogni primavera migliaia e migliaia di pecore salgono a Campo Imperatore. Dal loro latte si produce un pecorino canestrato che stagiona da due mesi a un anno. Il sapore è pronunciato e piccante: è buono da taglio e ottimo grattugiato.  

La Costa d’Amalfi e il provolone del Monaco Riscavalchiamo gli Appennini per raggiungere la Costa d’Amalfi. Nella mente dei più, questo tratto dell’Italia è sinonimo di mare, ma seguendo il sapore di un formaggio, il Provolone del Monaco, scopriamo un territorio affascinante: i Monti Lattari. La qualità del latte impiegato per il provolone è eccezionale, prodotto dalla vacca Agerolese (presente nell’Arca del Gusto Slow Food), razza locale molto rustica.  

Il Sulcis iglesiente, non solo miniere Finiamo questo ideale (e circoscritto) percorso turistico-caseario in Sardegna, precisamente nel Sulcis Iglesiente. Dal mare da favola di Sant’Antioco alle suggestive miniere dismesse che raccontano una storia industriale oggi in via di valorizzazione, questo angolo dell’isola è tanto spettacolare quanto magico, per chi vuole conoscere la natura e la comunità del territorio, assieme all’enogastronomia e alla pastorizia. I pastori ci consegnano, tra gli altri, un gioiello della produzione casearia italiana: il Fiore sardo. Formaggio pecorino, preparato secondo antichi metodi e affumicato a legna, realizzato con latte non pastorizzato, a pasta cruda, di buona consistenza. Il nome deriverebbe dall’utilizzo del fiore di cardo come caglio o di uno stampo in legno con un fiore scolpito.  

Per chi non può raggiungere tutti questi luoghi, l’invito è di venire a Bra (Cn), dal 19 al 22 settembre, dove si può fare un giro tra i migliori caci del mondo e conoscere i pastori e i casari che con maestria e tanta passione ci regalano forme del latte uniche.