“Carte, coltello picciolo e carosello” di Enzo Ciconte

I grandi processi di fine Ottocento alla “mala vita” e le origini della criminalità organizzata in Puglia 
“Ti lascio il mio velo di gelsomini rose e fiori, ti garantisco da giovane di onore sempre al mio lato ti voglio portare a dividere col tuo compagno col bene e col male per ora su di te non trovo manganza non c’è cartello non c’è bilancia e se in appresso mangerai col sangue la pagherai. Umiltà, fedeltà, sangue freddo politica e falsa politica, carte coltello picciolo e carosello 2 ali di aquila e cuore di leone”.
È il 4 aprile 1891 quando a Bari si tiene il primo maxiprocesso della storia: 179 imputati dai 15 ai 48 anni accusati di rapina, furto, lesione volontaria, porto d’armi abusivo, oltraggio a pubblico ufficiale e, soprattutto, di associazione a delinquere; 900 testimoni; 20 avvocati; 200 carabinieri e una compagnia di soldati, agenti e funzionari di Pubblica Sicurezza. Tra quelli istituzionali non esiste un luogo adatto ad ospitarlo: si affitta uno stabilimento industriale e si costruiscono due gabbie in cui saranno gli incriminati. L’aula, piena di familiari e conoscenti, è ingovernabile.
In meno di due mesi sono interrogati gli imputati, ascoltati i testimoni, e il 23 maggio è pronunciata la sentenza di condanna; anche se, per quasi tutte le 70 testate giornalistiche che seguono il processo, non vi è alcuna prova di un’associazione a delinquere.
Il 15 gennaio 1893 inizia a Taranto il cosiddetto “processo famoso”, in una chiesa sconsacrata, e le gabbie dei detenuti sono le stesse di Bari: 104 imputati, tutti condannati.
Enzo Ciconte ricostruisce le vicende di questi processi attraverso la stampa dell’epoca, le deposizioni, gli atti giudiziari e l’Archivio Centrale dello Stato. E li situa nel contesto della Puglia di quegli anni, di miseria e disoccupazione.
Analizza la situazione delle carceri pugliesi, in cui la malavita, discendente diretta della camorra e della ’ndrangheta, fin dalla seconda metà dell’Ottocento riesce a proliferare, grazie anche alla corruzione delle guardie e alla loro connivenza con i detenuti.
È un’organizzazione che detta le regole, stabilisce rituali di affiliazione, impone il pagamento del pizzo, che ha al suo interno una gerarchia, dei gradi con nomi precisi e un sistema di reciproci obblighi da rispettare.
Ciconte racconta una storia avvincente che illumina le origini della malavita pugliese e della storia delle mafie in Italia.