Da Bra a Calascio, a Cheese 2025 la pastorizia che guarda al futuro

photo Alessandro Vargiu – Archivio Slow food
Sulle pendici del Gran Sasso studiano i pastori che guardano al futuro. Dalla gestione del pascolo alla conservazione della biodiversità, dalla produzione alimentare sostenibile al marketing territoriale, la Scuola di perfezionamento per la pastorizia estensiva di Calascio (L’Aquila), è promossa da Slow Food Italia e da D.R.E.Am Italia, che hanno risposto a una manifestazione d’interesse nell’ambito del progetto pilota di rigenerazione culturale, sociale ed economica “Rocca Calascio – Luce d’Abruzzo” del Comune di Calascio, selezionato dalla Regione Abruzzo nell’ambito delle misure del PNRR (LINEA A, M1.C3 – Investimento 2.1 – “Attrattività dei borghi”), gestite dal Ministero della Cultura e finanziato dall’Unione europea – NextGenerationEU.

La Scuola valorizza un modello di sviluppo sostenibile per le terre alte e si propone di affiancare alla formazione pratica una narrazione innovativa del mestiere del pastore.   

L’offerta formativa è articolata in otto masterclass tra il 2025 e la primavera del 2026. Le prime lezioni si sono appena concluse e il prossimo appuntamento è in programma tra il 5 e l’11 ottobre: si parlerà di produzioni e marketing di carne e lana e di come gestire le conflittualità con i predatori selvatici.
La scuola si rivolge ad aspiranti pastori, a forestali, veterinari e agronomi, ma anche a chi ha già dimestichezza con animali e greggi: «Ho deciso di iscrivermi a questa scuola per restare al passo coi tempi e per imparare qualcosa in più oltre a quello che mi hanno trasmesso mio nonno e mio papà» racconta la giovane Giorgia D’Amato, una delle prime iscritte alla scuola. Anche Francesca Paciocco, studentessa in Scienze forestali e ambientali, ha già seguito i primi corsi: «Ho il cuore in Abruzzo, specialmente su queste montagne, e sono qui perché tengo enormemente al mio territorio.

Un’iniziativa come questa mi sembra vitale per la sopravvivenza di ambienti preziosi: dobbiamo tornare alla montagna e non solo la domenica per una passeggiata: occorre far rifiorire ambienti antichi, far ripartire piccole aziende, far capire alle persone cosa c’è intorno a un pezzo di formaggio e di carne». Servono «più allevatori e meno scaldapoltrone» è l’invito ai suoi coetanei del trentino Alex Beltempo, che alleva capre di razza Pezzata Mochena, una razza autoctona inclusa sull’Arca del Gusto, una passione ereditata dai genitori. «Sono qui per imparare, perché come tutti in tutti i settori, occorre fare aggiornamenti».  

Aprire una scuola in un paese di poco più di cento abitanti   «Fare il pastore non significa solo gestire il gregge, servono competenze nuove: la Scuola di perfezionamento per la pastorizia estensiva nasce da questa consapevolezza» sostiene Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia. «Il pastore ha un ruolo strategico nella conservazione del paesaggio e della biodiversità e nella produzione di servizi ecosistemici. Per questo occorrono nozioni diverse, oltre a saper gestire bene un gregge, che spaziano dalle scienze veterinarie alla botanica, passando naturalmente dalla approfondita conoscenza delle normative che regolano il settore dell’allevamento e della trasformazione dei prodotti».  

Calascio, oggi poco più di cento abitanti, «un tempo rappresentava uno dei principali centri dell’allevamento ovino» spiega il sindaco Paolo Baldi. «Sul versante meridionale del Gran Sasso resistono poche aziende, benché la richiesta di prodotto sia alta. La Scuola di pastorizia estensiva ha l’obiettivo di rigenerare le attività tradizionali, valorizzando gli ampi pascoli che abbiamo a disposizione. È un’opportunità anche per le aziende che vogliono migliorarsi».  

«Parlare di scuola per pastori in un paese in cui vige ancora il detto “Guarda che se non studi vai a badare le pecore!” può sembrare bizzarro. In realtà, l’esperienza di altre scuole per pastori e allevatori ci dice il contrario e centinaia di ragazze e di ragazzi hanno mostrato interesse a partecipare» aggiunge Tommaso Campedelli, Direttore di D.R.E.Am Italia. Tra loro, c’è Pasquale de Lorenzo: «Lavorare con gli animali non è banale. Nel mio caso, grazie al supporto tecnico della scuola ho rivisto il progetto che avevo messo a punto e che non aveva tenuto conto di aspetti importanti. Ero partito dall’idea di allevare capre al pascolo nei castagneti all’interno del Parco delle Foreste Casentinesi, sono finito a gestire asini e pecore. Meglio così, fare certi errori probabilmente mi avrebbe abbattuto».   

«Quando parliamo di pastorizia il pensiero va subito alle pecore, ma non si tratta solo di questo – aggiunge Jacopo Goracci, zootecnico, consulente Slow Food e docente della Scuola di pastorizia di Calascio –. Pensiamo, ad esempio, ai bovini nel bosco o ai suini al pascolo. Nelle terre alte, in collina o in montagna, nelle aree interne dell’Italia, gli animali hanno la possibilità di scegliere, cosa mangiare, quando riprodursi. Un patrimonio inestimabile». Gli fa eco Benedetta Morucci, docente della Scuola di tessitura di Calascio ISTÓS e titolare dell’azienda Lamantera che si occupa di recuperare lane autoctone abruzzesi per farne berretti, calze, coperte e filati: «La razza della pecora è importante, ma lo è ancor di più il modo in cui si alleva. È fondamentale riconnettere a livello progettuale le risorse della terra e chi le gestisce con le filiere di trasformazione dei prodotti».