In Campania, la sècena del Matese è un nuovo Presidio Slow Food!

Sècena del Matese, Presidio Slow Food – © Archivio Slow Food Campania

La sècena del Matese, l’ultimo Presidio Slow Food in ordine di tempo a venire lanciato, è un’antica varietà di segale coltivata nell’area del massiccio tra la Campania (nelle province di Benevento e Caserta) e il Molise (Campobasso e Isernia), giunta nel sud Italia probabilmente durante le incursioni dei longobardi provenienti dal centro e dal nord dell’Europa. «Per secoli la sècena ha costituito uno degli alimenti base delle popolazioni locali, grazie alla possibilità di coltivarla anche ad altitudini notevoli, a 900-1000 metri, dove il grano non poteva crescere» spiega Costantino Leuci, referente Slow Food del Presidio. «Nel secondo dopoguerra, di pari passo con la maggiore facilità di accesso al grande mercato industriale, i gusti sono cambiati e le farine ritenute più nobili hanno conquistato i palati e i mercati. Il pane nero è stato man mano messo da parte e i terreni abbandonati: chi non li ha convertiti ad altre coltivazioni ha continuato a tenere la segale soltanto per l’alimentazione degli animali». 

Negli ultimi anni, cogliendo le possibilità offerte da un bando del ministero della Cultura, le amministrazioni locali di Castello del Matese e Letino (Caserta) hanno scelto di investire sul recupero della sècena e dei terreni dove un tempo veniva coltivata. In pochi anni, grazie al lavoro degli ultimi agricoltori custodi rimasti e con la collaborazione dell’università di Napoli Federico II, la superficie seminata è cresciuta e la platea di produttori si è ampliata, arrivando a coinvolgere nove aziende agricole. «L’obiettivo è stato recuperare la coltivazione per il consumo umano, facendo sì che produttori e trasformatori si avvicinassero. Con l’aiuto di Slow Food – prosegue Leuci – penso che ci siamo riusciti: abbiamo coinvolto pizzaioli, panificatori, un pastificio e un birraio, tutti interessati a usare la segale nelle loro preparazioni».

Coltivare in un parco nazionale

L’areale di produzione del Presidio Slow Food della sècena ricade all’interno del Parco nazionale del Matese, un’area protetta riconosciuta ufficialmente lo scorso aprile. «La zona in cui ci troviamo è particolarmente interessante – sottolinea Leuci –. Ha una ricca fauna, che comprende anche l’aquila reale, e una flora rigogliosa: ampie faggete, distese di querce e prati stabili. E, curiosamente, una piccola piana a circa 900 metri di quota si chiama proprio Sècena, che nella parlata locale significa appunto ‘segale’».

La segale, a seconda dell’altitudine, si semina tra fine settembre e novembre e si raccoglie  nel cuore dell’estate, tra fine giugno e i primi giorni di agosto. «Io ho già raccolto – racconta Patrizia Coluccio, che ha i terreni in pianura –. L’azienda mia e di mio marito è storicamente più orientata ai legumi, ma da quando si è ricostituito un gruppo di produttori abbiamo iniziato a pensare ai possibili utilizzi e siamo partiti con entusiasmo. Appoggiandoci a un trasformatore artigianale molisano abbiamo fatto una prova di gnocchetti con farina 100% di segale macinata a pietra e il risultato è stato positivo: chi l’ha assaggiata è tornato a comperarne altra. Ma oltre alla pasta secca si possono fare prodotti da forno e la crusca di segale potrebbe venire usata persino per affinare il formaggio di pecora: le idee non mancano e penso ne svilupperemo altre. Il problema è che, per adesso, la produzione è bassa». Lo conferma anche Roberto Navarra, che insieme alla moglie Lavinia Zanoaga coltiva a quote più alte, sopra i mille metri, e attende ancora di mietere e trebbiare: «Abbiamo iniziato a coltivare la segale due anni fa, utilizzandola per la rotazione dei terreni che destiniamo alle patate. Quest’anno sarà il primo anno che trasformerò il raccolto in farina – ammette – e la richiesta di prodotto da pizzaioli e panifici è alta al punto che non riesco ad accontentare tutti». In autunno destinerà alla segale una superficie tra i due e i tre ettari, facendo i conti con la scarsità di seme: «A ogni raccolto dobbiamo tenerne una quota importante per la semina successiva, per cui aumentare la produzione è un processo lento. Ma i segnali sono ottimi: grazie al lavoro di Slow Food la segale del Matese si sta rivalutando e le possibilità economiche sono molte più di qualche anno fa. Chi trasforma la materia prima, come i ristoratori interessati a proporre pizze e piatti che raccontano il territorio attraverso una materia prima assolutamente locale, ci può aiutare a creare nuove preziose economie di piccola scala, ampliando le fonti di reddito».