Regione Puglia, Ministero della Giustizia e Terzo Settore insieme per il reinserimento sociale: siglato il nuovo Protocollo per l’esecuzione penale esterna

Ricostruire il senso di comunità, ripensare la giustizia come percorso educativo, creare reali occasioni di reinserimento sociale per chi ha commesso reati. Con questi obiettivi il Dipartimento Welfare della Regione Puglia ha siglato il nuovo Protocollo d’Intesa, in collaborazione con il Ministero della Giustizia – Dipartimento della Giustizia di Comunità e Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – e con il mondo del volontariato organizzato e del Terzo Settore pugliese.

Si tratta di un accordo che rafforza la giustizia di comunità, attraverso percorsi di esecuzione penale esterna basati su attività di volontariato e lavori di pubblica utilità non retribuiti, rivolti a persone condannate o imputate. Un’iniziativa fondata sul principio che la pena, per essere davvero utile alla società, debba tendere non solo alla punizione, ma soprattutto alla rieducazione e alla reintegrazione della persona.

“La giustizia, per essere giusta, deve essere anche capace di riconciliazione. In un tempo in cui il carcere rischia di essere solo un luogo di esclusione e ripetizione del reato, noi scegliamo di investire sul cambiamento, sulla responsabilità, sulla relazione con la comunità. Questo protocollo è un atto di civiltà e di speranza, perché restituisce alla pena il suo significato costituzionale: educare, non spezzare. Offrire nuove possibilità, non chiudere porte.” – dichiara Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia.

Il Protocollo è il risultato di un’alleanza istituzionale e sociale che coinvolge il Dipartimento Welfare della Regione Puglia e i principali attori della giustizia di comunità e del volontariato: l’Ufficio Interdistrettuale dell’Esecuzione Penale Esterna (UIEPE), il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria, CSVnet Puglia, la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia e il Forum del Terzo Settore Puglia.

L’accordo punta a costruire percorsi personalizzati di reinserimento, promuovendo la partecipazione della collettività e rafforzando i legami tra istituzioni e territorio. Al centro vi è una visione di giustizia trasformativa, che riconosce nel volontariato e nel coinvolgimento civico strumenti efficaci per restituire fiducia, dignità e appartenenza a chi ha sbagliato.

Il Protocollo risponde anche alle più recenti novità legislative: grazie al Decreto Legge 92/2024 è oggi possibile accedere all’affidamento in prova al servizio sociale anche in assenza di un lavoro, a patto che la persona sia inserita in un’attività di volontariato o pubblica utilità idonea. Un cambio di paradigma che apre la strada a nuovi strumenti di reinserimento.

Il cuore dell’accordo è l’idea che la comunità debba e possa avere un ruolo attivo nel processo di riparazione e reintegrazione. Non si tratta solo di misure alternative alla detenzione, ma di un modello culturale che restituisce significato alla pena come occasione di crescita, responsabilizzazione e riconciliazione.

In questo contesto, verranno realizzati percorsi di reinserimento sociale che siano su misura per le esigenze di ciascuno, mettendo al centro la finalità rieducativa ma anche l’opportunità concreta di inclusione nella vita della comunità. Parallelamente, saranno promosse campagne di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza, al fine di diffondere una cultura della giustizia di comunità e valorizzare il ruolo fondamentale che il volontariato svolge nel processo di recupero.

Inoltre, le istituzioni e i partner coinvolti lavoreranno attivamente per creare e rafforzare una rete stabile sul territorio, in cui enti del Terzo Settore e amministrazioni locali collaborino per offrire accoglienza, sostegno e accompagnamento a chi è coinvolto in questi percorsi. Questo sistema di relazioni è pensato per favorire la crescita personale di chi ha commesso reati, aiutandolo a sviluppare senso di responsabilità, competenze relazionali e un forte senso di appartenenza alla comunità.

Infine, un’attenzione particolare sarà dedicata a consolidare e rendere strutturali le esperienze e le buone pratiche già sperimentate in Puglia negli anni precedenti, per garantire che queste metodologie possano essere mantenute e ampliate nel tempo, costruendo così un modello di reinserimento sociale sostenibile e replicabile.

“Una società che non reintegra è una società che rinuncia alla sicurezza vera. La recidiva si combatte restituendo dignità, non cancellando le persone. Questo protocollo non è solo un documento, ma un segnale politico e culturale: crediamo che anche chi ha sbagliato possa trovare una strada diversa, se accompagnato con serietà. E crediamo che la comunità possa e debba avere un ruolo attivo nel processo di cambiamento.” – afferma Ruggiero Mennea, consigliere delegato al Welfare della Regione Puglia.

L’accordo sarà attuato attraverso la costituzione di un Comitato tecnico-operativo, con il compito di monitorare, valutare e indirizzare le azioni previste, garantendo continuità e coerenza tra gli interventi.

“Con questo protocollo ribadiamo un principio fondamentale: la pena non deve assumere un carattere meramente afflittivo, ma deve tendere alla rieducazione del condannato, favorendo il reinserimento sociale attraverso percorsi personalizzati di responsabilizzazione e crescita. Il coinvolgimento del volontariato e del Terzo Settore permette di costruire progetti di partecipazione alla vita di comunità e di riparazione.L’accordo si pone peraltro in linea con gli altri interventi del dipartimento volti a recuperare la finalità rieducativa della pena ; il riferimento è, tra gli altri, ai percorsi di giustizia riparativa ed al patto di inclusione per i minori in carico al Centro di Giustizia Minorile” ” – spiega Valentina Romano, direttrice del Dipartimento Welfare della Regione Puglia.

La firma di questo Protocollo rappresenta un passo avanti concreto verso una giustizia più umana, partecipata e orientata alla riparazione. È un atto che unisce istituzioni, operatori, volontari e comunità locali nella consapevolezza che il cambiamento non può avvenire solo nei tribunali o nelle carceri, ma deve nascere e crescere nella società.

In un tempo in cui le tensioni sociali rischiano di alimentare esclusione e sfiducia, il Dipartimento Welfare regionale continua a scegliere di investire sulla ricostruzione dei legami, sulla centralità della persona e sul potere trasformativo delle relazioni.